“A Carnevale ogni scherzo vale” è il motto che riecheggia forse l’antico detto latino “semel in anno licet insanire”, ossia una volta all’anno è lecito fare cose da pazzi. Da pazzi come, ad esempio, travestirsi e far finta di essere altri da quelli che siamo. In effetti a Roma, durante i Saturnali, ricorrenza cui forse si ispira il nostro Carnevale, come forse anche a precedenti rituali greci o egiziani, allo schiavo era concesso di sedersi alla tavola padronale, o fingere addirittura di amministrare la giustizia; il povero per un giorno diventava ricco e viceversa, in una sorta di mondo alla rovescia o di viaggio nel tempo in una mitica età dell’oro nella quale non esistevano ancora disuguaglianze sociali, e tutti indossavano il conico cappello di feltro detto “pileus”, riservato di solito agli schiavi affrancati. Poi il giorno di follia finiva e tutto tornava alla rigida realtà, come ai nostri tempi, poi, quando alle scorribande carnevalesche, alle chiassate, alle scorpacciate, seguivano i duri giorni di astinenza e di digiuno della Quaresima.
Il termine “carnevale” sembra infatti derivare proprio dall’espressione “carnem levare”, ossia eliminare la carne dopo il banchetto del “martedì grasso” per iniziare la dieta di Quaresima.
Il modo di festeggiare il carnevale, a memoria del sottoscritto, variava a seconda dell’ambiente, cittadino o di campagna, ed anche a seconda delle possibilità economiche. Chi non aveva grandi mezzi si arrangiava come poteva con i vecchi abiti dismessi o con trucchi di barba e baffi realizzati bruciacchiando sul fuoco alcuni tappi di sughero usati per i fiaschi da vino. Personalmente ne ho un ricordo nitido, anche se il fatto di vedere le ragazzine travestite da uomini e noi ragazzi da donne per fare poi il solito giro del vicinato a raccogliere sorrisi e ilarità tirando coriandoli devo dire che non mi è andato mai per niente a genio e mi ha sempre dato un’impressione di allegria e felicità forzata. Era un’usanza e mi adeguavo, come gli altri, ma con il minimo entusiasmo.
Per quanto riguarda Poggibonsi, dai documenti in mio possesso risulta che nel ‘600 la festa del Carnevale era molto considerata, tanto che il Comune stanziava addirittura una somma per fare dei fuochi di artificio.
Occorre precisare però che per Carnevale tutto valeva fino a un certo punto, perché qualcuno a volte si prendeva qualche licenza di troppo e poteva succedere che l’uso di una maschera potesse dar luogo anche ad episodi di microcriminalità, come, ad esempio, i furti.
Nel ‘700 il Carnevale si festeggiava soprattutto con rappresentazioni teatrali, messe in scena dalla gioventù locale del tempo, la quale, come narrato in altro articolo dedicato al teatro di Poggibonsi e riportato nel recente libro “Poggibonsi racconta…”, approfittando della cosiddetta “bautta”, una maschera che rendeva del tutto irriconoscibile l’attore, spesso tirava dal palco qualche frizzatina piccante verso le autorità locali, in primis il podestà, che veniva da fuori e quindi era più vulnerabile degli altri. Fu per questo motivo che la bautta ad un certo punto venne vietata, come si vietarono alcune commedie ritenute troppo licenziose, mentre altre furono censurate in alcune parti e si vietò infine l’uso dal palcoscenico, a scanso di equivoci, della parola “podestà”.
Ma si organizzavano per il Carnevale anche feste in casa, durante le quali si faceva musica e si ballava. Qualche volta la festa finiva male, come quella narrata nel libro suddetto, del 1773, quando un gruppo di malintenzionati fece irruzione in una casa per vendicarsi del violinista e trasformò una serata di allegria in un parapiglia e fuggi fuggi generale.
Nell’800 anche le botteghe di caffè del paese danno vita a piccoli veglioni di carnevale, mentre l’Accademia dei Ravvivati Costanti organizza in teatro alcune rappresentazioni carnevalesche. Nel 1867 si cerca disperatamente una compagnia teatrale, ma non si trova, così si auspica la creazione di una filarmonica teatrale fatta di giovani del paese, per “rompere la monotonia di un inverno noiosissimo”, così si dice. Ma sempre nello stesso anno arriva anche un decreto prefettizio a dettare le regole da rispettare durante il Carnevale, a testimoniare che tale festività, oltre che a portare allegria, creava contemporaneamente anche qualche preoccupazione. Nel decreto si legge che “è permesso l’uso di maschere dalle 12 alle 5 a partire dal 20 gennaio, purché il vestiario e il contegno siano tali da non offendere la decenza e il buon costume”. Di notte è proibito coprire però la faccia. Proibito anche a persone mascherate introdursi in abitazioni altrui o portare bastoni o altre cose che possano recare danno agli altri. Proibito è pure il getto di coriandoli, farina, terra, confetti ed altro.
Nel 1885, come ci racconta il Del Zanna nel suo Diario, si costituisce addirittura una “Società per il Carnevale”, con lo scopo di “organizzare feste da ballo nel teatro e far baldoria”, ma tale società si scioglie quasi subito, non avendo trovato disponibilità da parte dei membri dell’Accademia teatrale, che preferisce gestire gli ambienti teatrali in proprio. Quell’anno, ci narra il Del Zanna, si videro per le strade di Poggibonsi poche maschere e “quelle poche poco briose”. Nell’ultimo giorno di Carnevale si svolsero “due o tre mascherate chiassose, ma prive di un carattere o di un significato qualsiasi”. Riuscì invece molto bene il veglioncino organizzato nelle cosiddette “Stanze” del Teatro, con il “concorso numerosissimo di ogni ceto di persone”. Così continua il Del Zanna: “Si son notate molte eleganti toelette nelle signorine, ricchi abiti in alcune signore e si son visti magnifici costumi da maschera. Le danze animate e con gran numero di coppie si sono protratte fino alle 6 del mattino… Anche la società filodrammatica ha fatto il suo secondo festino, con esito mediocre, come era prevedibile, attesa la maggiore attrattiva offerta dalle Stanze”.
Le feste da ballo per il Carnevale continuano anche durante il ‘900. Nel 1909, in occasione del Carnevale, si balla fino alle 6.30 del mattino nella sede dell’Associazione Monarchica, in una sala “gremita di belle ballerine e ballerini”, mentre anche la società musicale “Giuseppe Verdi” organizza in alternativa al circolo monarchico, anche per persone meno altolocate e facoltose, feste da ballo, che vedono la presenza di “tante belle e graziose signorine”. Nel 1914 al Teatro si organizzano per Carnevale degli splendidi “veglioni floreali”.
Le feste, le sfilate di maschere, il chiasso, a volte gli eccessi, davano ogni tanto un po’ fastidio alla chiesa locale, che si lamentava del fatto che spesso tali esuberanze, anziché cessare, sconfinavano nei primi giorni di Quaresima. Il resto è storia recente.
(V. F.Burresi “Poggibonsi racconta…” 2024; F.Burresi “Poggibonsi nel Settecento”, 2022; G.Del Zanna “Diario di G.Del Zanna ed altri”, ASTOP 2001; La Nazione 1911; L’Elsa 1914; La Gazzetta di Firenze 1842; il Corriere dell’Elsa 1867)