Portare un gesto di pace, regalare un sorriso a chi ha perso tutto, dare una mano a chi è in difficoltà. Sono queste le ragioni alla base del viaggio del giovane poggibonsese Mattia Ciappi che lo scorso 30 settembre ha preso parte ad una spedizione umanitaria verso l’Ucraina per portare aiuti nelle zone colpite dal conflitto.
Consapevole di quanto sia stata significativa quest’esperienza, Mattia ci ha raccontato il suo viaggio, non nascondendo momenti emozionanti che hanno contribuito ad accrescere questo suo desiderio di aiutare gli altri, così: “Sono partito da Poggibonsi e sono arrivato a Brescia dove mi aspettavano altri ragazzi di Mediterranea, una Ong al quale sono iscritto che si occupa di salvare vite umane nel Mediterraneo e di dare assistenza ai profughi della guerra in Ucraina. Insieme, tutti e 9, siamo partiti per l’Ucraina noleggiando due van e riempiendoli di due tonnellate di aiuti umanitari, sanitari, prodotti di igiene femminile, coperte e vestiti. Abbiamo intrapreso questo viaggio effettuando una sosta sul confine ucraino-polacco e poi arrivare a destinazione”.
“All’arrivo - ci ha spiegato - abbiamo aspettato tre ore in frontiera perché essendo un paese in guerra le procedure di controllo sono moltiplicate e abbiamo guidato per l’Ucraina arrivando a Leopoli dove avevamo vari contatti con associazioni del territorio e insieme ad alcune di queste, alla comunità di sant’Egidio e ai salesiani, siamo andati nei campi profughi, in case coloniche, in
studentati. Insomma, in strutture e istituti che si occupano di dare assistenza umanitaria a quelle persone che sono state sfollate dalla guerra”.
“Sono stato a stretto contatto con persone che da un momento all’altro hanno dovuto abbandonare le loro terre, le loro città e sono dovute scappare. Emozionante dal mio punto di vista perché noi sentiamo parlare della guerra però viverla concretamente o direttamente ha tutto un altro effetto. Mi sono accorto della crudeltà e della difficoltà del vivere delle persone. Quando parlavo con gli anziani e i ragazzi mi dicevano che da un momento all’altro hanno visto cambiare le loro vite, che tutti hanno lasciato dei parenti perché non più in vita. Mi hanno detto delle loro case distrutte e che hanno dovuto cambiare drasticamente la loro vita e andare a vivere in un campo profughi, in stanze piccole aspettando gli aiuti dall’estero”.
“È stata un’esperienza molto forte - aggiunge - abbiamo girato l’Oblast di Leopoli, andando nei villaggi e abbiamo visto come si vive in una situazione di guerra. È stato un viaggio lungo, psicologicamente duro ed una delle esperienze impattanti è stata visitare il cimitero dei soldati ucraini di Leopoli”.
Un momento significativo sul quale non ha potuto non riflettere: “Io sono nato nel 1999 e ho visto un sacco di tombe di persone nate nel mio stesso anno, 2000-2001. Tutti ragazzi giovani, anche ragazze e la cosa più terribile era notare che questi ragazzi sono morti nel giorno o nei giorni successi a quando sono stati arruolati. Al fronte l’aspettativa di vita è di 4, 5 o 6 ore dall’arruolamento. Le persone muoiono. È stata molto dura come esperienza. Noi abbiamo fatto il possibile. È stato molto gratificante vedere la commozione degli adulti, degli anziani che pur non parlando la nostra lingua e non parlando noi la lingua loro riuscivamo a intenderci con gesti”.
Alla domanda se non avesse provato paura nell’affrontare questo viaggio Mattia ci ha risposto:
“Quando mi è arrivata la proposta ci ho riflettuto però ero piuttosto convinto di partire. La paura ce l’ho avuta anche perché Leopoli una volta al mese viene bombardata e ci sono morti, una situazione che da un momento all’altro può degenerare. Quindi si, ho avuto paura e i miei familiari erano molto preoccupati. Prima di partire ho anche sognato che accadesse qualcosa di brutto ma stando laggiù lo spirito di solidarietà ha prevalso sulla paura. Una volta lì pur essendo in un paese in guerra non mi sono reso conto della paura. Ero lì per un altro fine cioè quello di dare una mano a chi sta male. Sono uscito da quell’esperienza rendendomi conto di essere un privilegiato nel vivere in una parte agiata del mondo ma allo stesso tempo mi sono accorto che vivendo in questa parte del mondo ho un dovere di solidarietà verso chi è in difficoltà. Ne sono uscito rafforzato da quest’esperienza”.